Le onde d’urto: introduzione alla tecnologia
La O.U. è definita come un’onda acustica ad alta energia caratterizzata, sul fronte d’avanzamento, da una pressione in grado di passare, in frazioni di nanosecondi (10-9), da valori atmosferici (1,01- 1,02 Bar) fino a valori estremamente elevati (100-1000 Bar), per poi ritornare ai livelli di partenza dopo una fase negativa.
La sua velocità di propagazione è in funzione del mezzo nel quale si trasmette (impedenza acustica) e dell’intensità dell’onda; conoscendo questi dati, è possibile calcolare lo spessore del fronte d’onda che è definito come lo spazio tra il punto in cui si è raggiunta la massima ampiezza pressoria e quello in cui prevale nuovamente la pressione atmosferica.
Strutture quali le pareti cellulari, il cui spessore è valutabile a livello molecolare, sono quindi sottoposte a gradienti pressori elevatissimi al transito delle O.U.
L’impedenza acustica è definita come la resistenza opposta da un tessuto all’avanzata dell’O.U.; essa varia in relazione alla densità del tessuto ed influenza la velocità di propagazione dell’onda.
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A sinistra:
RX del 04/03/2017: presenza di calcificazione esuberanti dei tessuti muscolari del III medio arto inferiore sn.
A destra:
RX del 03/06/17 esiti di frattura III medio diafisiaria trattata chirurgicamente con mds metallico endomidollare con avanzati segni di consolidazione. Callo osseo esuberante maggiormente compattato e calcificato rispetto al precedente controllo del 04.03.
Solo all’inizio degli anni novanta è stata utilizzata questa metodica nelle patologie ossee, soprattutto in seguito all’osservazione di un odontoiatra di Francoforte, il quale notò una marcata riduzione di flogosi peridentale in pazienti sottoposti a trattamento per i calcoli delle ghiandole salivari.
Le prime applicazioni sull’osso in campo umano vennero effettuate all’inizio degli anni ’90. Valchanou e Michailov nel 1991 descrissero il consolidamento e la guarigione in 70 su 79 pazienti di una casistica eterogenea che presentava ritardo di consolidamento di fratture con formazione di pseudoartrosi. Risultati positivi assimilabili vennero riportati da Schleberger e Senge nel 1992: venne ottenuta l’induzione della formazione del callo osseo entro sei settimane dall’applicazione di onde d’urto, senza che si verificassero lesioni ossee strutturali, nè ossificazioni ectopiche.
Tra i primi a studiare l’effetto in ortopedia fu Haist, sempre di Francoforte, che ebbe il merito di applicare le O.U. nella pratica clinica quotidiana: egli rimane un cardine di riferimento per i cultori della materia.
In Italia, le prime applicazioni cliniche furono condotte nel 1992 dall’équipe del prof. Ezio Maria Corrado dell’Università degli Studi di Napoli, Divisione di Chirurgia della Mano, che utilizzò le O.U. in casi di pseudoartrosi di scafoide carpale (Russo et al., 1995) partendo dall’idea che gli aggregati cristallini presenti in questa patologia avrebbero potuto subire, come avveniva per i calcoli renali, un’influenza fisica diretta.
Sempre nei primi anni ’90 vennero iniziati i trattamenti con onde d’urto delle patologie a carico di tendini e legamenti.
Nel 1992 Dahmen e coll. descrissero l’applicazione di onde d’urto a bassa energia per il trattamento di tendiniti calcifiche della regione scapolo-omerale.
Da allora sono stati compiuti numerosi progressi, soprattutto dopo l’osservazione che, oltre ad una azione fisica diretta, le O.U. producono effetti biologici indiretti. Ciò ha permesso di allargare immediatamente le possibili indicazioni cliniche dalla pseudoartrosi ad un più vasto campo di patologie ortopediche e traumatologiche muscolo-scheletriche.
Gli impulsi pressori prodotti dalle O.U. sono capaci di indurre, a livello delle zone colpite:
- riduzione della flogosi locale;
- neoformazione di vasi sanguigni;
- riattivazione dei processi riparativi.
Tali effetti sono solo in parte dovuti ad un meccanismo di azione diretto (distruzione meccanica degli aggregati inorganici come sostenuto dagli urologi o comunque impatto pressorio sulle strutture biologiche), dal momento che sono soprattutto mediati da alcuni fenomeni fisici conseguenti al passaggio dell’onda nel tessuto colpito.
Allorquando una O.U. attraversa un fluido genera molteplici differenze pressorie responsabili della formazione di bolle di gas e del fenomeno della “cavitazione”; infatti, la ridotta pressione che si produce sul lato interno della semionda consente un rapido passaggio dell’acqua alla fase gassosa con formazione di una vera e propria bolla di dimensioni variabili a seconda dell’energia sprigionata.
Una successiva O.U. colpisce la bolla così formata dando luogo ad una violenta implosione che forma un getto d’acqua, il cosiddetto “jet stream”, che è notevolmente accelerato dal campo di bassa pressione esistente all’interno della bolla (velocità di 2700-3000 km/h). Tale getto d’acqua direzionale, colpendo i tessuti viciniori, determina microlesioni la cui entità è in funzione del numero degli impulsi e della loro energia (Delius et al., 1998).
La membrana cellulare è la più sensibile e sono sufficienti livelli d’energia pari a 0,2 mj/ mm2 per alterarne le proprietà di permeabilità. Più resistenti invece sono il citoscheletro, i mitocondri e la membrana nucleare nei quali le alterazioni si cominciano a notare per valori d’energia pari a 0,5 mj/ mm2.
Queste lesioni sono responsabili della catena degli eventi biologici desiderati che inducono, a livello ultrastrutturale, diversi tipi di risposta secondo la qualità del tessuto su cui sono applicati.
Studi sperimentali recenti (Russo et al., 2001) hanno dimostrato che le alte energie sprigionate dai jet streams cavitazionali, generati nei tessuti attraversati dalle O.U., producono alterazioni biomolecolari tali da spiegare le molteplici risposte biologiche-tissutali che si osservano in corso di trattamento e vale a dire quelle angiogenetiche, citotossiche e neuromodulanti.
Da questi studi sembra che il punto d’innesco principale sia rappresentato dalla molecola di nitrossido d’azoto (NO), molecola assai instabile, che fisiologicamente è prodotta in condizioni di stress dalle cosiddette sintetasi: essa rappresenta il vero mediatore chimico nelle O.U. ed è considerata la molecola starter della neoangiogenesi come anche della risposta antinfiammatoria, neuromodulante, citotossica (per le più alte concentrazioni) e probabilmente anche di una risposta immunitaria .
E’ stato dimostrato, in laboratorio, che l’energia sprigionata dai jet streams è in grado di portare a rottura talune molecole, quali la L-Arginina e l’acqua ossigenata presente nelle aree d’infiammazione; dal riassemblamento molecolare derivante sarebbe possibile giungere direttamente alla produzione di NO, saltando quindi il fisiologico meccanismo enzimatico a cascata.
Altre indagini sperimentali (Russo et al., 2000) hanno dimostrato in vivo il fenomeno della cavitazione mediante la registrazione, durante la formazione delle bolle di cavitazione, di due distinti spikes, di marcata intensità, legata a due differenti momenti di compressione e rarefazione massima (bubble oscillation); gli AA concludono che tale evenienza dipende non solo dalla energia della O.U. ma anche dalla concentrazione di acqua nei tessuti, dal mezzo di propagazione e dall’intervallo di tempo tra le singole O.U..
Proprio per i suddetti motivi, la risposta al trattamento con O.U. è diversa a seconda dei tessuti colpiti.
Nel tessuto osseo è stata osservata una reazione di tipo osteogenetico ed una di tipo vascolare; nei tessuti molli, invece, oltre ad una risposta vascolare si verifica anche un effetto antinfiammatorio ed antalgico.
La risposta osteogenetica è stata dimostrata nelle aree di pseudoartrosi dove è possibile ottenere la rottura di cristalli di idrossiapatite e la liberazione di microcristalli che determina un’espansione del numero dei nuclei d’aggregazione calcica e quindi una riattivazione ed un ampliamento della risposta osteogenetica.
Infatti, la pseudoartrosi riconosce tra l’altro, come fattore etiopatogenetico, la formazione di cristalli di idrossiapatite lungo la rima di frattura che impedisce l’avanzamento delle gemme vascolari provenienti dai capi di frattura provocando, di conseguenza, un ridotto apporto ematico che non permette al callo fibroso di trasformarsi in tessuto osseo.
Le O.U inducono, da una parte, la frammentazione dei cristalli di idrossiapatite provocando una riattivazione e, addirittura, un ampliamento della risposta osteogenetica attraverso la liberazione di fattori di crescita attivi sull’osteogenesi (BMP) e, dall’altra, l’innesco di un’attività neoangiogenetica conseguente alla perforazione della membrana cellulare dell’endotelio capillare ed alla migrazione di cellule endoteliali nello spazio interstiziale con rilascio di E.S.A.F.(Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor).
Recenti studi dimostrano che l’azione delle O.U., da un punto di vista istopatologico, si tradurrebbe nell’induzione di fratture trabecolari a livello della lesione con conseguenti fenomeni microemorragici e formazione di trombi; ciò renderebbe la lesione più recettiva allo stimolo dei fattori piastrinici.
Le piastrine infatti, se attivate, rilasciano numerosi fattori di crescita capaci di stimolare la replicazione delle cellule di origine mesenchimale come fibroblasti, osteoblasti e cellule endoteliali esercitando, peraltro, un’azione chemiotattica verso macrofagi, monociti e polimorfonucleati.
Si è ipotizzato che, nel sito di lesione ossea, si verifichi un rilascio iniziale di PDGF (Plateled derived growth factor), TGF-b (trasforming growth factor-beta), EGF (epidermal growth factor) e IGF I e II (Insulin like growth factor I e II), e cioè fattori di crescita osteoinduttivi di derivazione piastrinica, per effetto della degranulazione delle piastrine presenti in loco. Il PDGF stimola la mitosi delle cellule staminali midollari presenti nell’osso e, in virtù dell’effetto angiogenetico, determina e potenzia la formazione dei nuovi capillari già indotta dall’onda d’urto nelle sedi di lesione.
Contemporaneamente si assiste ad una proliferazione di fibroblasti e di proosteoblasti per effetto del TGFbeta, che successivamente induce la differenziazione dei proosteoblasti in osteoblasti stimolandoli a produrre matrice ossea, mentre i fibroblasti depositano la matrice del collagene destinata a sostenere la crescita vasale.
In una fase più avanzata del processo, il rilascio di IGF I e II agisce sugli osteoblasti dell’endostio che iniziano a riempire le trabecole dell’osso spugnoso.
In uno studio molto recente (Martini et al., 2003), è stato dimostrato che l’azione delle O.U. a livello micromolecolare si concretizzerebbe in una variazione della permeabilità di membrana con conseguente apertura dei canali del potassio (canali Ca++dipendenti), indice quest’ultimo di incremento del metabolismo cellulare. Russo, in un recente studio, ha ipotizzato la possibile azione delle O.U. a livello microenergetico suggerendo che possano indurre modifiche del livello quantico energetico degli elettroni inducendo un riarrangiamento proteico tridimensionale che indurrebbe l’apertura dei canali ionici (Russo et al., 2003).
Per quanto riguarda l’effetto vascolare sono stati evidenziati due tipi di risposta.
Una, precoce e transitoria, è dovuta all’effetto delle O.U. sulle terminazioni nervose simpatiche con conseguente simpaticoplegia che induce l’apertura del letto capillare (effetto “wash out” degli Autori anglosassoni).
A distanza di alcuni giorni, segue una seconda risposta legata all’incremento del numero dei capillari nel distretto irradiato; secondo le teorie più recenti, tale formazione di vasi capillari si produrrebbe grazie ad un meccanismo simil fisiologico delle O.U. che mimerebbero l’azione dell’E.S.A.F. (Endothelial Stimulating Angiogenetic Factor), un pepetide in grado, se liberato, di perforare la membrana basale delle strutture vascolari loco-regionali con conseguente fuoriuscita di cellule endoteliali negli spazi interstiziali dove queste cominciano a proliferare formando nuovi capillari. Ne consegue che la risposta antinfiammatoria, osservabile dopo il trattamento, è sostenuta dall’intenso lavaggio circolatorio tissutale che si viene e determinare nell’area bersaglio e che causa l’allontanamento delle molecole ad attività chinino ed istamino-simile e della cosiddetta sostanza P presenti nella regione della flogosi.
Per quanto riguarda l’effetto analgesico sono state avanzate diverse teorie:
- le O.U. modificano l’eccitabilità della membrana cellulare; i nocicettori, non potendo generare così alcun potenziale, impediscono l’insorgenza del dolore;
- le O.U. stimolano i nocicettori a generare un’alta quantità di impulsi nervosi che bloccano la trasmissione del segnale ai centri cerebrali, perciò la soglia del dolore s’innalza (teoria del Gate Control);
- le O.U. aumentano il livello dei radicali liberi presenti nell’ambiente cellulare e questi generano sostanze inibitorie del dolore.
Studi sperimentali, condotti in questi anni, hanno dimostrato una chiara relazione dose/effetto del microdanno cellulare dove per dose s’intende non solo la potenza delle O.U. ma anche il numero totale di colpi applicati. Infatti, la risposta cellulare dose-dipendente varia dal semplice incremento della permeabilità cellulare (Lauer, 1997) per le potenze più basse, alle lesioni del reticolo endoplasmatico e della parete nucleare (Seidl, 1995) e a quelle del citoscheletro fino alla rottura cellulare completa per quelle più elevate (Brummer, 1990; Seidl, 1995; Buch, 1997).
Da quanto detto si può ritenere che gli effetti delle O.U. sui tessuti sono strettamente correlati ai dosaggi utilizzati. Se intensità troppo basse possono essere insufficienti a determinare risposte biologiche significative, queste cominciano a manifestarsi con una precisa gradualità al crescere della potenza e/o del numero dei colpi; secondo il meccanismo biologico che s’intende evocare per la risposta terapeutica ricercata, il rapporto dose/colpi va attentamente prevalutato, anche in relazione alla problematica dei costi del trattamento che oggi assume una rilevanza topica.
Una semplice risposta antidolorifica ed antiflogistica può richiedere potenze basse e medie (tra 0,1 e 0,3 mj/mm2) sufficienti a determinare un wash-out della regione trattata ed un incremento della vascolarizzazione tale da portare ad un più fisiologico metabolismo locale. Quando sono presenti calcificazioni o pseudoartrosi, le potenze richieste sono senz’altro più elevate, ma la valutazione pretrattamento deve tener conto della sede oltre che le dimensioni delle stesse.
Le tecnologie oggi disponibili per la generazione di onde d’urto focalizzate:
Generatori Elettroidraulici
I generatori elettroidraulici sfruttano l’alto voltaggio applicato a due elettrodi, posti a distanza reciproca di un millimetro all’interno dell’acqua. L’arco voltaico generato provoca l’evaporazione dell’acqua circostante e la conseguente formazione di un’onda sferica di pressione indotta dalla rapida crescita della bolla di vapore; l’onda d’urto così generata viene riflessa successivamente da un ellissoide nel suo secondo fuoco, il target.
s = spark plug
r = reflector
f1 = 1st focal point
f2 = 2nd focal point
Generatori Elettromagnetici
I generatori elettromagnetici generano onde d’urto con un meccanismo simile all’altoparlante; un impulso elettrico si propaga attraverso una bobina, generando un campo magnetico che colpisce una membrana metallica. L’onda sonora, così creata, viene focalizzata da una lente acustica per formare un’onda d’urto. I generatori elettromagnetici richiedono un sistema di raffreddamento idraulico. Di qualità superiore sembrano essere quelli a bobina cilindrica e paraboloide focalizzante, soprattutto per le finalità terapeutiche che ci interessano.
I generatori elettromagnetici di ultima generazione sono di dimensioni contenute e flessibili per permettere all’operatore di raggiungere i diversi punti del corpo sottoposti al trattamento. La sorgente elettromagnetica è rappresentata da un cilindro montato su di un braccio articolato connesso con il cuore dell’apparecchio in modo tale che è agevole il posizionamento su ogni parte del corpo senza costringere il paziente a posture obbligate e quindi scomode.
c1 = capacitor
c2 = coil
f1 = 1st focal point
f2 = 2nd focal point
Generatori Piezoelettrici
Con il termine piezoelettrico (la parola deriva dal greco piezein, pressione, compressione) si definisce la proprietà di alcuni cristalli di produrre differenza di potenziale quando sono soggetti ad una deformazione meccanica. Il funzionamento di un cristallo piezoelettrico è abbastanza semplice: quando viene applicata una pressione (o decompressione) esterna, si posizionano, sulle facce opposte, cariche di segno opposto. Il cristallo, così, si comporta come un condensatore al quale è stata applicata una differenza di potenziale. Viene quindi generata una corrente elettrica, detta corrente piezoelettrica, tra le facce opposte del cristallo. Al contrario, quando si applica una differenza di potenziale al cristallo, esso si espande o si contrae provocando una vibrazione anche violenta.
L’espansione volumetrica è facilmente pilotabile ed è strettamente dipendente dalla stimolazione elettrica.
La vibrazione contemporanea di centinaia di elementi piezoceramici disposti su una superficie concava, o su layer concentrici, genera un’onda d’urto di potenza dipendente dalla curvatura della superficie e dal numero di elementi impiegati.
Grazie all’estrema modularità dell’impulso ottenibile, alcuni litotritori piezoelettrici possono anche variare la dimensione focale permettendo di selezionare volumi efficaci più adatti alla patologia in trattamento.
Disponendo layer piezoelettrici concentrici vengono raggiunte densità di energia di oltre 1,6 mj/mm2 e valori assai superiori nei litotritori piezoelettrici dedicati all’urologia.
I cristalli di nuova generazione assicurano una longevità del generatore che supera di norma i 6.000.000 di colpi senza decrescere di potenza o richiedere l’utilizzo di materiale consumabile.
La versatilità della distribuzione dei cristalli ha permesso inoltre di ottenere volumi focali non solo di dimensioni differenti, ma anche con morfologie dedicate:
– Onde focalizzate a volume ellissoidale trattamenti ESWT – ESWL – TPST
– Onde focalizzate a volume lineare trattamenti ESWT – medicina Estetica
– Onde de focalizzate/planare trattamenti ESWT – Ulcere cutanee
Le tecnologie oggi disponibili per la generazione di onde d’urto radiali:
Generatori balistici
l sistema di Generazione di Onde d’Urto Balistico trova fondamento nella Balistica Terminale, branca della Fisica Balistica che studia le interazioni, al momento dell’impatto e negli istanti immediatamente successivi, tra un corpo in movimento e il suo bersaglio.
I primi studi sul moto del proietto si hanno già a partire dal XVI Secolo con Niccolò Tartaglia, ripresi successivamente da altri studiosi come Galileo Galilei e Isaac Newton, per giungere poi all’invenzione, nel XVII Secolo, del Pendolo Balistico ad opera di Benjamin Robins e con il quale fu possibile misurare la quantità di moto di un proietto.
Ma è solo con l’avvento, nel secondo dopoguerra, di adeguate tecniche strumentali e fotografiche che si è potuto analizzare e comprendere appieno quanto avviene in un organismo colpito da un proiettile in movimento.
Come dimostrato dagli autori Coates, James B., Beyer, James C., Heaton e Leonard D. dell’Office of the Surgeon General (US Army) Washington DC, nel loro Report “Wound Ballistics for World War II” pubblicato nel 1962, l’impatto del proiettile contro un tessuto provoca in quest’ultimo la creazione di Onde d’Urto accompagnate da fenomeni cavitazionali.
Il sistema balistico di generazione di Onde d’Urto è costituito da un proiettile contenuto in una camera di lancio che viene messo in moto da aria compressa gestita, nell’intensità del flusso e nella frequenza di erogazione, dall’unità centrale del apparecchio. Il proiettile, completata la sua corsa lungo la camera di lancio, a sua volta contenuta nel manipolo, impatta arrestandosi nel corpo interno dell’applicatore (la cui opposta estremità è a contatto con il paziente), trasferendo così prima all’applicatore e poi all’organismo l’intera energia cinetica acquisita durante il moto. (Pic. A)
La parte dell’applicatore a contatto col paziente può avere forme e dimensioni differenti, variando in siffatta maniera la quantità di tessuto interessato dalle Onde d’Urto in funzione delle necessità applicative.
L’energia così trasportata genera un’Onda d’Urto e Cavitazione all’interno dei tessuti. (Pic. B)
La stessa tecnologia trova applicazione in diversi campi della medicina, che vanno dalla chirurgia ortopedica nella revisione delle protesi d’anca, per la frantumazione del cemento, alla litotrissia intracorporea (Pic. C) fino alle patologie muscolo-scheletriche con indicazione al trattamento ESWT.